Onda su onda
“A casa erano ancora presi a disfare i bagagli e a litigare per l’assegnazione dei letti. Mi infilai il costume da bagno, agguantai la mia tavola da surf e me la svignai senza dire una parola”. Un amore che dura da una vita quello tra William Finnegan, giornalista e scrittore americano classe 1952, e la tavola da surf.
Quasi un’ossessione che lo ha spinto a girare il mondo – dalla California alle Hawaii, dall’Australia all’Isola di Madeira – svolgendo i lavori più diversi all’inseguimento dell’onda perfetta. O meglio, delle incredibili sensazioni che si provano nello sfidare e nel domare quei giganteschi muri d’acqua, spaventosi e sempre diversi, imprevedibili. Senza rete, senza istruzioni per l’uso, affidandosi all’esperienza, all’istinto, alla sensibilità di muscoli e cervello. Giorni selvaggi. La mia vita sulle onde è il memoir che gli è valso il Premio Pulitzer nel 2016. Bellissimo e appassionante proprio per questo: perché il surf assume una dimensione universale diventando, di volta in volta, uno strumento per conoscere se stessi, esplorare i propri confini, relazionarsi con le altre persone e con il mondo che ci circonda.